martedì 29 maggio 2012

Raccontini: Diario siciliano, domenica

È un giorno di festa, è luglio, con le braccia scoperte al sole guardo la strada dal balcone di casa di mia nonna.
Se penso ad una cupola mafiosa la immagino come il clan formato da nonna e dalle sue sei sorelle: se hai detto una cosa domani loro la sanno già oggi, tutte.
Giudicano, controllano e sono spudoratamente faziose.
Si sostengono a vicenda e sono una sicurezza l'una per l'altra.
Sono belle, in salute, circondate d'affetto eppure sempre scontente.
Mi avvicino alla ringhiera, stringo tra le braccia R., piccolo e biondo, quasi non emette suono e non sta mai fermo, ma ci sono cose che non riguardano me che trascorro qui pochi minuti all'anno.
Sotto di noi la statua nera di San Calogero portata a spalla da devoti (molti) ubriachi e (tutti) sudati.
Risparmio le stronzate, tutte vere, sul sacro che si mischia al profano: questa festa è da vedere.
La gente tira il pane dalle finestre delle proprie abitazioni verso la statua (c'è un motivo che risale ad un'epidemia di peste), sembra impossibile sradicare quest'usanza.
Piccole pagnotte ai semi di sesamo e finocchio vengono lanciate verso i portatori della statua.
Ne individuo uno che mi cattura per le sue doti di ricevitore, è magrissimo, con le braccia nervose e i muscoli che disegnano ombre sulla pelle scura, afferra con la mano sinistra tutti i panini che cadono nella sua direzione e li lancia verso l'esterno trattenendoli solo pochi secondi.
La processione viene fermata di continuo e la gente si arrampica sulla statua per baciarne il volto, vengono issati anche i neonati, in equilibrio precario tra le mani di sconosciuti.
Tutta questa violenza e tutta questa carne mi mettono a disagio, m'intimoriscono. In questo istante, così come le mie braccia proteggono R. vorrei che delle braccia proteggessero me, anche se non corro nessun pericolo, come non corre nessun pericolo R.

Nessun commento:

Posta un commento